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Cassazione: se c’è la buona fede, non ci sono sanzioni

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Cassazione: se c’è la buona fede, non ci sono sanzioni

La Cassazione, con la sentenza n. 12648/2024, si è così espressa: “Il principio di collaborazione e buona fede permea la disciplina tributaria … richiedendo una declinatoria in concreto in relazione alla diversità delle fattispecie e delle situazioni”.

La sentenza trae origine dalla cartella di pagamento emessa da Agenzia delle Entrate Riscossione ai sensi dell’art. 36 bis , per il recupero di quanto dovuto dal contribuente a titolo di Irpef dovuta e non versata per l’anno 2011.

In particolare, secondo l’AdE-R, il contribuente – che aveva chiesto ed ottenuto la rateizzazione del debito – avrebbe corrisposto in ritardo la terza rata, avendo effettuato il pagamento solo in data 03.03.2014 anziché in data 28.02.2014.

Avverso tale cartella di pagamento, il contribuente ricorreva in primo grado presso la Commissione Tributaria Provinciale, che accoglieva il ricorso, rilevando che il prospetto prodotto dal contribuente recava come indicazione per il pagamento la data del 3 marzo, anziché quella del 28 febbraio 2014.
A fronte di tale allegazione documentale, l’Ufficio rimaneva silente, di fatto non adempiendo all’onere di provare la legittimità dell’iscrizione a ruolo della cartella.

A questo punto però l’Agenzia proponeva appello avverso la sentenza di primo grado. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia rigettava tale appello, ritenendo che:

  1. il pagamento della rata era comunque avvenuto prima della scadenza della rata successiva risultante dal prospetto rinvenuto nel sito online di Agenzia,
  2. il contribuente era in buona fede,
  3. si era in presenza di errore scusabile. 

L’Agenzia, quindi, proponeva ricorso per cassazione, sostanzialmente affidando la propria difesa ad un unico motivo di gravame che possiamo così riassumere: è la legge che stabilisce come scadenza per il pagamento delle rate l’ultimo giorno di ciascun trimestre, ragion per cui l’errore del contribuente – affidatosi ad un prospetto errato – non sarebbe stato scusabile.

Come detto, però, la Corte di Cassazione ha nuovamente affermato la correttezza della sentenza resa nel precedente grado di giudizio, confermando – quindi – la scusabilità dell’errore compiuto dal contribuente, di fatto neutralizzando la pretesa dell’agente della riscossione.

Come sottolineato dalla Suprema Corte, l’Agenzia, in corso di causa, neppure avrebbe giustificato l’incongruenza documentale, “trincerandosi dietro il dato, ritenuto assorbente, che uno solo dei due prospetti fosse conforme a legge e senza tener conto del principio di legittimo affidamento”.
Merita a questo punto capire cosa si intenda esattamente per “errore scusabile” del contribuente?
La risposta si trova nell’articolo 10 dello Statuto del Contribuente che, in primis, sottolinea come i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria debbano essere improntati al principio della collaborazione e della buona fede.

Per questo motivo non possono essere irrogate sanzioni, né richiesti interessi di mora, nel caso in cui l’errore del contribuente sia stato causato dall’essersi conformato ad indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione finanziaria e dalla stessa successivamente modificate.

Allo stesso modo, il contribuente sarà scusato quando il comportamento – che ha determinato la violazione – sia stato causato da fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni o errori degli uffici fiscali.

Le sanzioni non possono essere comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria (in ogni caso, non determina obiettiva condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria), o quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta.

Giuliano Vendrame
23/08/2024

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